Idrocefalo Normoteso e Pressione Intracranica le nuove frontiere del reparto di Neurochirurgia

Condividi

Proseguono i successi dell’equipe del reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Sei i lavori presentati al recente congresso mondiale sull’Idrocefalo svoltosi a Bologna, medico firmatario di tutti i lavori, per il nostro ospedale, il Dott. Gianpaolo Petrella. I lavori svolti in collaborazione che le equipe di altre università, nazionali ed europee, hanno riguardato gli studi e i progressi svolti, nel corso dell’ultimo lustro, sul trattamento dei pazienti affetti da Idrocefalo Normoteso e sulle rivoluzionarie scoperte della Pressione Intracranica. L’Idrocefalo normoteso genera una forma di demenza che, a differenza del Parkinson e dell’Alzheimer è curabile con la chirurgia e con prospettive di piena guarigione. Il paziente affetto da Idrocefalo Normoteso mostra tre disturbi, demenza, incontinenza urinaria e difficoltà di deambulazione, una diagnosi errata che non riconosce il vero problema, implica una condanna per il paziente ad uno stato d’incurabilità con assunzione cronica di farmaci. Con il “Test di Infusione” un’apparecchiatura computerizzata in grado di eseguire un semplice esame in modo rapido e preciso (di cui il nostro ospedale è provvisto) si può diagnosticare la corretta

patologia. “Uno dei lavori presentati a Bologna, in collaborazione con i colleghi della Medicina Nucleare di Tor Vergata era mirato a documentare i cambiamenti radiologici osservabili alla PET cerebrale dopo l’intervento chirurgico per l’idrocefalo – ha precisato il dott. Gianpaolo Petrella – abbiamo visto come i pazienti sottoposti al Test di Infusione e che presentano determinati parametri, possono essere indirizzati all’intervento, il cambiamento radiologico, oltre a quello clinico, ha confermato ulteriormente l’indicazione all’intervento”. A convalidare la validità del metodo diagnostico anche il secondo lavoro, presentato in collaborazione con i medici del dipartimento di Elettronica – Bioingegneria del Politecnico di Milano, del San Raffaele Pisana e di Cassino e del dipartimento di Biostrutture e di Bioimagin del CNR di Napoli. I dati raccolti hanno dimostrato che tutti i pazienti sottoposti da intervento dopo il Test di Infusione, hanno migliorato le loro capacità cognitive e di deambulazione. Al congresso di Bologna è stato presentato anche il primo intervento al mondo eseguito su paziente affetto da Sindrome di Down e Idrocefalo Normoteso eseguito proprio a Latina dal dott. Petrella.  “Con i colleghi di Cambridge e della Cattolica abbiamo sperimentato come il test di Infusione sia utile anche nel post operatorio per caprie se il drenaggio impiantato, a seguito dell’intervento chirurgico, funziona in maniera corretta – ha proseguito il dott. Petrella – e sempre con i colleghi di Cambridge abbiamo scoperto che, se un aumento importante della Pressione Intra Cranica (ICP) può portare alla morte, un semplice aggiustamento della posizione del collo, nei pazienti che sono sedati e intubati, riduce i valori della ICP alla normalità in modo veloce e senza effetti collaterali”. Le scoperte sulla Pressione Intra Cranica non si sono fermate ai soggetti affetti da Idrocefalo Normoteso il dott. Petrella, con il Prof. Anile della Cattolica di Roma, ha condotto un interessante studio sulla condizione patologica chiamata “tamponamento cerebrale” caratterizzata da un arresto del flusso ematico a livello cerebrale che si verifica molto spesso in seguito ad un trauma cranico o ad un’emorragia cerebrale. “In questo lavoro abbiamo cercato, in maniera sperimentale, di capire quando veramente si verifica questo fenomeno e come poterlo trattare – spiega il dott. Petrella – Abbiamo poi studiato anche la capacità da parte del cervello di sopravvivere alla mancanza di ossigeno al di là dei canonici sei minuti, sia in condizioni di normotermia che ipotermia”. In alcuni pazienti per il trattamento dell’aumento della Pressione Intracranica è indicato un tipo d’intervento chirurgico che si chiama craniotomia decompressiva. Con l’intervento si rimuove gran parte della scatola cranica e delle meningi al fine di poter dare “spazio” al cervello per potersi gonfiare.  Quando il paziente, migliora si pone la necessità di dover “richiudere” la scatola cranica. Nel corso dei millenni sono state usate diverse tecniche. Negli ultimi anni esistono delle protesi che si fanno su misura per ogni paziente, tecnica costosissima con tempi di attesa molto lunghi che espongono il paziente a dei rischi d’infezione nell’attesa che la protesi sia pronta. Nel lavoro presentato all’“International Conference on Recent Advances in Neurotraumatology (ICRAN)”, che si è tenuto a Napoli, il dott. Gianpaolo Petrella ha illustrato i dati raccolti negli ultimi due anni, sulla crio-conservazione dell’opercolo osseo che si rimuove con l’intervento. “Un volta estratto s’invia ad una banca dell’osso che lo analizza per vedere se è infetto, qualora lo fosse sarà sterilizzato e conservato in congelatore a -80°C –ha precisato il dott. Petrella – Nel momento in cui il paziente è pronto per essere rioperato basterà una semplice richiesta e dal giorno dopo l’opercolo sarà a disposizione per essere impiantato nuovamente”. Questa metodica riduce i costi per le protesi, i tempi di degenza, i tempi e i rischi legati all’attesa ma soprattutto permette di ri-impiantare un tessuto proprio.


Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *