Torneo Basket Tosarello: Testimonial Valerio Bianchini

Torneo Basket Tosarello: Testimonial Valerio Bianchini
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due Coppe Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, tre scudetti vinti in tre città diverse (Cantù, Roma e Pesaro, ma in carriera ha guidato anche Mens Sana Siena, Olimpia Milano, Virtus Bologna, Pall. Varese), una Coppa Italia (Fortitudo Bologna), alla guida della Nazionale nel 1986 ai Mondiali di Madrid e nel 1987 agli Europei di Atene, sottolinea l’importanza di iniziative come il torneo Tosarello, mirate alla promozione del movimento sportivo del proprio territorio, unito alla valorizzazione dei settori giovanili. Sarà presente in occasione della serata conclusiva del torneo, in programma sabato 19 Luglio. Durante la nostra intervista, il coach Valerio Bianchini ha indossato con piacere la maglia ufficiale 2014 del Torneo Tosarello, a conferma della sua partecipazione all’evento. “In ogni città la cultura dell’organizzazione di tornei come il Tosarello è fondamentale per la formazione ed alla valorizzazione dei giovani, non solamente sul piano strettamente tecnico: attraverso la promozione dello sport, infatti, che deve comunque iniziare già nelle scuole, ogni città crea quella cultura e quell’amore verso la disciplina sportiva che sono prerogative fondamentali per avere sempre nel tempo propri atleti di valore e sani appassionati tifosi, cercando di consolidare sempre il senso di appartenenza alla squadra della propria città. Allo stesso modo di un club, anche un torneo rappresentativo può diventare il collante tra la gente, gli appassionati sportivi, le aziende e le attività che operano nel territorio. Lo sport è un’esperienza totalizzante per la formazione del singolo individuo. Quando un ragazzo, che si diverte a giocare all’oratorio o sotto casa, viene chiamato ad entrare a far parte di una squadra, si sente identificato dal mondo esterno: è un passaggio straordinario della sua identità personale, perché entra in un contesto sociale dove acquisisce maggiore consapevolezza di se stesso, imparando a rispettare le regole dello sport, non solo sul piano tecnico, in un mondo quello odierno dove le regole tendono a non esserci più. Il ragazzo entra così in contesto dove troverà un maestro, che non gli darà i compitini da fare a casa, ma che lo accompagnerà nella sua crescita dentro e fuori il campo di gioco. Lo sport è lo specchio ma anche una metafora continua della vita, perché quando gli istruttori dicono ai propri allievi di non guardare il pallone mentre palleggiano ma di osservare sempre il campo, è un suggerimento che vale anche nella vita di tutti i giorni: il controllo di sé stesso per muoversi poi con risultati nel mondo esterno, con spirito di collaborazione e relazione con i propri amici e compagni, nel rispetto sempre degli altri oltre che delle regole”. Eppure i vivai, in ogni disciplina sportiva, stanno conoscendo in questi anni una crisi tecnica ed anche strutturale: “Lo sport è stato stravolto da grandi avvenimenti: storico-politici come la caduta del muro di Berlino e successivamente anche dei regimi arabi, più strettamente giuridico-sportivi come la legge 91, la sentenza Bosman, con la caduta del vincolo contrattuale e la globalizzazione del mercato dei giocatori, fenomeni che hanno comportato la libera circolazione degli atleti e anche la naturalizzazione di giocatori extracomunitari. Una volta poi esaurito il mecenatismo dei presidenti con i loro investimenti, la società sportive hanno cercato la via più facile: cercare giocatori già fatti, anche di inferiore tasso qualitativo, a discapito della politica dei vivai. Il crollo del vincolo del cartellino societario dei giovani giocatori ha finito per pregiudicare la valorizzazione dei settori giovanili, con i procuratori che si sono letteralmente impadroniti delle società. Quando oggi hai sette stranieri in una squadra, è chiaro che è preclusa la valorizzazione dei giovani. A discapito poi del ricambio generazionale nelle Nazionali”. Cosa occorrerebbe allora per rilanciare il settore tecnico italiano? “La volontà di voler pianificare con una visione diversa, più ampia, lungimirante e soprattutto una programmazione nell’interesse di tutti. Bisogna ritornare ad essere propositivi, innovativi, trasmettendo fiducia ed anche orgoglio, per tornare al vertice sia sul piano tecnico e sia sul piano organizzativo, in modo da garantire continuità ai programmi. Voglio rivolgere un messaggio anche agli allenatori: un tempo i tecnici erano i grandi narratori dietro le quinte del basket, oggigiorno li vedo ancorati ai loro tatticismi e ai loro tecnicismi, senza più capacità di comunicazione e di trasmettere messaggi importanti. La loro preparazione non si deve limitare alla sola competenza tecnica, ma lo sport ha bisogno di allenatori che siano anche uomini di cultura a 360 gradi, non solo sportiva. Per quanto riguarda la gestione dei nostri campionati, basterebbe importare il modello NBA con la ripartizione uguale a tutti i club, non invece come avviene in Italia, dei diritti televisivi, dove esiste la prelazione dei migliori giocatori universitari che spetta alle ultime squadre professionistiche classificate di ogni stagione: ecco perché il campionato statunitense è sempre competitivo ed interessante. Negli Usa è ancora netta la distinzione tra campionato professionistico, dilettantistico universitario, attività di formazione e ludica”.

 


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