Jobs Act

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Risale a qualche giorno fa il quadro tracciato da “Il Sole 24 Ore” sulla situazione occupazionale nel nostro Paese. Numeri, come di consueto, allarmanti. Numeri che raccontano di un mercato del lavoro traboccante che non lascia spazio ai giovani e respinge gli over 40 con anni di preziosa esperienza alle spalle. Gli ultimi dati Istat hanno attribuito al 2013 il gravoso appellativo di “Annus horribilis” per i riscontri avuti sull’ammontare degli occupati sceso a 22,4 milioni, circa 480mila unità in meno rispetto al 2012, sulla quota dei disoccupati in vertiginosa e costante crescita e sulla quantità di nuovi contratti registrati, la più bassa dal 2009. Saldo decisamente negativo per industria e servizi, mentre crescono i posti di lavoro nell’agricoltura. Segnali di un ritorno al passato? Lo sospettano esperti economi e docenti strutturati nelle più prestigiose Università della nostra penisola. Di certo, riducendo il quadro e limitando l’analisi alla realtà a noi circostante, non possiamo far altro che ammettere lo stato di difficoltà in cui versano la gran parte delle piccole e medie imprese locali. La sfida del nuovo governo è proprio quella di invertire l’attuale tendenza e focalizzare una politica di rilancio industriale indispensabile per la sopravvivenza del nostro Paese. Prima di tutto occorre quindi riformare le Leggi sul lavoro e ristrutturare progressivamente il sistema-Fornero. Tra le misure contemplate dal Jobs Act, la priorità è assegnata alle normative in materia di apprendistato e contratti a tempo determinato. Nella giornata di venerdì 21 marzo è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il Decreto Legge 34/2014 recante le modifiche sul mercato del lavoro. Obiettivo: semplificarne la disciplina. Per quanto riguarda il contratto di lavoro in apprendistato professionalizzante, si dispone innanzitutto che il training aziendale non sia più obbligatoriamente integrato dall’offerta formativa pubblica di competenza regionale, che diventa elemento discrezionale. Si stabilisce inoltre che il ricorso alla forma scritta resti necessario per il contratto e per il patto di prova, mentre decade per il piano formativo individuale. L’assunzione di nuovi apprendisti non sarà più vincolata alla conferma di quelli già in forza per una percentuale pari almeno al 30% e la retribuzione, con riferimento alla tipologia di contratto per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale, dovrà misurarsi sulle ore di lavoro effettivamente prestate e sul 35% del monte ore complessivamente destinato alle attività di formazione. Per quanto concerne invece il contratto di lavoro a tempo determinato, la normativa precedentemente vigente richiedeva che fosse esplicitata la causa della scadenza prefissata. L’unica eccezione era fatta per il primo rapporto a cui si poneva comunque il limite massimo di 12 mesi, proroghe comprese. Con l’entrata in vigore del Decreto Legge 34/2014, il contratto di lavoro a tempo determinato può effettivamente liberarsi della causale fino allo scadere dei tradizionali 36 mesi. Un intervallo di tempo in cui l’impresa può decidere di prorogare il rapporto, con riferimento alla medesima attività, fino ad un limite di 8 volte. Resta comunque in vigore la regola del cosiddetto «stop & go», ovvero i periodi di pausa da rispettare tra un rapporto di lavoro a tempo determinato ed il successivo (10 o 20 giorni a seconda che il contratto iniziale fosse rispettivamente di durata inferiore/pari a 6 mesi ovvero superiore). Le nuove disposizioni trovano applicazione anche per i contratti in somministrazione e valgono per qualsiasi tipo di mansione, fermo restando che, salvo particolari eccezioni, i lavoratori inseriti con tale forma contrattuale non dovranno superare il 20% dell’organico. Sono questi i primi passi compiuti dal giovanissimo governo Renzi, approvato a gran voti anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Con la giusta cautela, ed un pizzico di speranza, attendiamo le prossime mosse.


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